Il fenomeno del Big Quit: le ragioni dietro le dimissioni di massa

da Set 16, 2022Dicono di noi

Tra gennaio e giugno di quest’anno si sono dimesse oltre un milione di persone. Ma non basta. Nella distribuzione alimentare organizzata si fa sempre più fatica a cercare e trovare nuovo personale. Dunque, che si tratti di lasciare un posto di lavoro o di rifiutarlo in anticipo, una cosa è certa: se si considerano le motivazioni delle dimissioni o dei rifiuti preventivi delle opportunità occupazionali, ci si rende conto che siamo di fronte a due facce del fenomeno del ‘Big quit‘ o ‘Great resignation‘. 

In entrambe le versioni, alla base delle scelte dei lavoratori ci sono ragioni connesse alla durata del lavoro, alla sua gravosità, alla sua invadenza rispetto alla vita privata? 

“Il nodo delle cosiddette grandi dimissioni e del personale non trovato dalle imprese è talmente intricato da non prestarsi alle tante riduzioni che si leggono in giro – avvisa Emmanuele Massagli, Presidente di Adapt, il Centro studi fondato da Marco Biagi – I bassi salari offerti nel settore del commercio e del turismo sono solo una parte della spiegazione; il reddito di cittadinanza può essere una ‘tentazione’ in alcune regioni del Sud ed è anch’essa una ragione parziale; le mancanze del sistema formativo sono certe, ma non possono essere considerate l’unica causa”. 

Tutte spiegazioni parziali, dunque? 

“Certo. Anche la retorica dei giovani fannulloni, figli del benessere ha stufato”. 

Quali le ragioni profonde? 

“Accademici, politici, ma anche le imprese devono invece prendere atto che da oramai più di un decennio sta cambiando profondamente il rapporto tra le persone e il lavoro e il significato profondo di questa componente essenziale della nostra società. Fenomeni solo qualche anno fa sconosciuti come lo smart working e il welfare aziendale sono prove evidenti e conseguenze (non cause) di questo cambiamento”. 

Quali le conseguenze? 

“Invece di ricondurre la lettura dei problemi dell’oggi al ‘già saputo’, alle solite categorie teoriche, occorre modificare i metri di misura e tornare ad osservare la realtà, nella sua complessità. Che cosa sarà il lavoro per la nostra società nel 2050? La sfida è culturale, non economica o giuridica”. 

*Il seguente articolo è stato pubblicato su www.quotidiano.net, il 15 settembre 2022

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