Il welfare non è salario: via dai tetti l’accessorio

da Mar 5, 2024Studi e approfondimenti

Antonio Naddeo – Presidente dell’Aran*

Recenti deliberazioni della Corte dei Conti – sezioni Regionali di Controllo per la Lombardia e il Piemonte – hanno portato nuova luce sul tema delle risorse destinate al welfare aziendale, un argomento di crescente importanza nell’ambito degli enti locali.

In particolare, l’attenzione si è concentrata sull’applicazione del limite salariale accessorio, secondo l’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 75/2017, in relazione alle somme per il welfare integrativo, come stabilito dall’articolo 82 del contratto nazionale del 16 novembre 2022.

Queste decisioni offrono una prospettiva legale chiara e sono fondamentali per le politiche salariali degli enti pubblici, nonostante esistano opinioni divergenti, come quella della Ragioneria generale dello Stato, espressa nella nota del 18 settembre 2023.

È fondamentale ricordare che, in base all’articolo 7, comma 8, della legge 131/2003, le Regioni, insieme a Comuni, Province e Città metropolitane, hanno la possibilità di richiedere pareri in materia di contabilità pubblica alle Sezioni regionali di controllo. Tuttavia, è essenziale comprendere che la funzione consultiva della Corte non si estende a una consulenza generale, ma è specificatamente limitata alla contabilità pubblica. La giurisprudenza contabile sottolinea che questa attività consultiva non deve riguardare casi specifici o decisioni operative già prese dagli enti, per evitare interferenze indebite e mantenere il ruolo neutrale e indipendente della Corte dei conti.

La recente normativa contrattuale (articolo 82 del contratto nazionale delle Funzioni locali) ha introdotto la facoltà per gli enti locali di utilizzare una parte del fondo risorse decentrate per piani di welfare, innovando così rispetto alla precedente disciplina.

Secondo le deliberazioni della Corte, ormai consolidate (come le deliberazioni 503/2017 del Veneto, 61/2023 e 27/2019 della Liguria, 174/2023 della Lombardia) pur essendo finanziate dal fondo risorse decentrate, le misure di welfare integrativo previste dal nuovo contratto nazionale sono considerate non retributive, ma di natura contributiva-previdenziale. Di conseguenza, queste spese non sono soggette al limite del trattamento economico accessorio stabilito dall’articolo 23, comma 2, del Dlgs 75/2017, ma seguono le specifiche disposizioni finanziarie previste dal medesimo articolo 82 del contratto nazionale.

L’interpretazione si fonda sull’espressione letterale adoperata dal legislatore per demarcare l’ambito applicativo dell’articolo 23, comma 2: «l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale». Quindi il legislatore pone l’accento sulla destinazione delle risorse e non sul loro finanziamento per la costituzione del fondo per il trattamento accessorio. Pertanto se una parte di queste risorse, come previsto dall’articolo 82 del contratto nazionale, viene destinata al welfare aziendale e non alle componenti retributive, non può rientrare nei limiti previsti dall’articolo 23.

Data l’interpretazione ormai consolidata della Corte, sarebbe opportuno che le amministrazioni centrali che esprimono pareri si adeguino a questi indirizzi per chiarire le decisioni che i funzionari degli enti dovranno prendere, senza dubbi interpretativi che ostacolano significativamente le politiche salariali e aziendali degli enti locali.

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 4 marzo 2024

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