La sfida del covid non ha spiazzato chi già usava strumenti moderni

da Apr 28, 2020Rassegna Stampa

di Franca Maino*

Nell’arco di pochi anni, in Italia, si è sviluppato un vero e proprio mercato del welfare aziendale in cui hanno trovato spazio anche diversi enti del Terzo settore, in particolare cooperative e imprese sociali.

I servizi e le prestazioni destinati ai lavoratori possono infatti diventare un importante volàno per l’ economia cooperativa, in particolare per quella che opera nel sociale ed è più attenta ai bisogni delle comunità.

Il potenziale del welfare aziendale per le imprese sociali riguarda due ambiti. Nel primo gli enti del Terzo settore sono intercettati dalle società provider – quelle che offrono e organizzano piani di welfare per le imprese – e inclusi, in quanto erogatori di servizi, nelle piattaforme di welfare contribuendo ad alimentare quel terziario sociale ancora carente nel nostro Paese. Nel secondo si trovano ad intermediare direttamente la domanda di prestazioni e benefit che proviene dalle aziende profit ma anche dallo stesso mondo cooperativo, che mira a tutelare i propri soci e collaboratori e accrescerne il benessere personale e lavorativo.

In entrambi i casi si tratta di una sfida e insieme una opportunità per il mondo cooperativo, in particolare dal punto di vista dell’ imprenditorialità sociale e della crescita di servizi di qualità alla persona. Le imprese sociali che operano nell’ ambito del welfare aziendale devono infatti saper mantenere, e possibilmente anche valorizzare, le peculiarità che le contraddistinguono rispetto al mondo profit. E al contempo essere in grado di cogliere l’opportunità di ripensamento della loro capacità organizzativa innescando un processo di modernizzazione del settore.

La crisi dettata dalla pandemia di Covid-19 sembra fornire qualche primo riscontro in questo senso, mostrandoci un Terzo settore – almeno quella parte che prima dell’ emergenza si era già cimentata in questo mercato – che ha saputo reagire e mettere in campo soluzioni ai bisogni più urgenti, garantendo servizi alla persona più che mai necessari con una particolare attenzione ai soggetti più fragili. È il caso ad esempio del gruppo Cgm che, anche grazie a un’ infrastruttura tecnologica particolarmente flessibile e già collaudata, è riuscito a ripensare rapidamente la propria offerta territoriale di welfare aziendale, fornendo ai cittadini prestazioni rimodulate in base alle esigenze del lockdown.

Prima del Coronavirus sempre più consorzi e imprese sociali avevano iniziato ad operare in questo ambito e per questo molti enti non sono rimasti spiazzati dall’emergenza. La speranza è che questa tempestività possa rivelarsi cruciale per reinterpretare l’offerta di servizi di welfare e promuovere un percorso di innovazione digitale e tecnologica – ma anche sociale e di capacity building – in grado di dar vita a nuovi prodotti e processi. Questo a patto che si punti ad accrescere ulteriormente la capacità di ridefinire i modelli di intervento e produzione di servizi e di avviare nuove forme di interlocuzione con gli enti pubblici e al contempo con il mondo profit. E a condizione che non si perda di vista la territorializzazione del welfare e la creazione di un circuito virtuoso in grado di coinvolgere tutti, pubblico e privato, dalle imprese ai lavoratori, dagli enti locali ai soggetti non profit ai cittadini. 

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Corriere della Sera, il 28 aprile 2020

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