Costi Welfare Aziendale – Massagli (Aiwa): il welfare aziendale produce più introiti (che costi) al Fisco

da Giu 25, 2019Dicono di noi, Rassegna Stampa

di Marco Barbieri*

Emmanuele Massagli risponde a Tiziano Treu. Per una valutazione dei costi e dei vantaggi.

“AIWA è disponibile a partecipare a qualsiasi iniziativa del CNEL utile per avviare una valutazione dei costi generati dal welfare aziendale per la fiscalità generale, a condizione però che lo studio calcoli anche i vantaggi generati”. Emmanuele Massagli, presidente dell’Associazione italiana welfare aziendale (AIWA) replica così all’intervista concessa dal presidente del Cnel, Tiziano Treu, a wewelfare.it.

Presidente Massagli, come risponde Aiwa alle dichiarazioni del presidente del Cnel? Sui numeri proposti da Treu siete d’accordo?

Solo parzialmente. Mi pare azzardato considerare che si sia creato un costo fiscale di oltre un miliardo dalla normativa derivante dalle leggi di Bilancio del 2016 e 2017. Sarebbe utile sapere su quali numeri Treu si è applicato. Noi siamo pronti a leggere insieme quelli forniti dal Ministero del Lavoro (sugli accordi di produttività) e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (sulle dichiarazioni dei redditi), gli unici finora disponibili, che ci raccontano di circa 30.000 accordi di produttività firmati dal 2016 ad oggi che prevedono il pagamento in welfare, che si realizza per non più del 25% dei lavoratori (gli altri preferiscono il pagamento in moneta). La stima pare decisamente elevata.

Ma quindi se l’Agenzia delle Entrate avviasse un’indagine, il mercato del welfare aziendale non avrebbe nulla da temere, nemmeno per quella tendenza ludica e ricreativa che veniva messa nel mirino da Treu?

Assolutamente nulla! Anzi, tutto ciò che può portare maggiore informazione è benvenuto. L’Agenzia, inoltre, non ha bisogno di alcuna indagine per censire i beni e servizi con finalità ricreative: è una categoria che esiste da sempre, era già contenuta nella prima edizione “moderna” del TUIR, nel 1986! La legge di stabilità 2016 non ha apportato alcuna novità a questo proposito. La modifica introdotta riguarda la convertibilità del premio di risultato in benefit defiscalizzati e la contrattabilità dei piani di welfare. Come AIWA abbiamo sostenuto fin dal nostro primo giorno la necessità di preservare gli obiettivi di pubblico interesse dei servizi erogati. Se emergessero “derive” capaci di indebolire il nesso tra finalità sociali e benefici fiscali e contributi saremmo i primi a muoverci in difesa dei principi del TUIR. Ma ad oggi i dati in nostro possesso non mostrano questo rischio. La preoccupazione del Presidente del CNEL potrebbe derivare anche da altro.

Che cos’altro?

Dalla preoccupazione di alcune parti sociali su questo tema, spaventate più che altro da un possibile effetto di sostituzione del secondo welfare rispetto al primo welfare. Il CNEL è il luogo della rappresentanza di queste parti, giusto che il Presidente ne tenga conto. Il modo migliore per superare (o confermare) le preoccupazioni è verificare dati certi. E su, questo, come detto, siamo disponibilissimi a fare la nostra parte.

Parlava di vantaggi generati dal welfare aziendale per la collettività e per il Fisco. Giusto?

Certo. È scientificamente scorretto evidenziare solo i costi fiscali, senza contabilizzare il vantaggio generato per la collettività. Si tratta di effettuare una vera e propria verifica di impatto sociale, su cui AIWA sta già lavorando. Per ora abbiamo individuato benefici in almeno quattro diversi fronti. Primo: il maggiore gettito IVA generato dai servizi erogati tramite welfare aziendale. Non si dimentichi che il welfare si realizza in beni e servizi, non in moneta. Non può quindi finire a risparmio, genera sempre consumi. Secondo: è rilevante il ruolo del welfare aziendale nella emersione del lavoro nero, tanto più oggi che non esistono più i cosiddetti buoni-lavoro. Babysitting, badandato, ripetizioni… sono tutti servizi che si prestano molto all’economia informale, che perde di attrattività una volta che per essere rimborsati dalla azienda hanno bisogno di essere fatturati. Terzo: il welfare aziendale ha accentuato quel processo di integrazione pubblico-privato avviato con il sostegno normativo e contrattuale alla previdenza complementare e acceleratosi nell’evoluzione della sanità integrativa, che oggi è di gran lunga il servizio di welfare più scelto dai dipendenti italiani (a vantaggio anche delle casse dell’INPS, visto che ancora oggi previdenza e sanità integrative sono appesantite dal contributo di solidarietà del 10% che l’INPS raccoglie per ogni versamento). Quarto: il welfare aziendale sta crescendo anche perché è davvero percepito dalle aziende come un generatore di benessere organizzativo e quindi, indirettamente, di crescente produttività. Questa a sua volta porta maggiore ricchezza e maggiori utili, quindi più lavoro e più tasse.

 

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Wewelfare.it, il 25 giugno 2019

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