Piace il welfare dei Millennials. Con i voucher più benessere

da Ott 1, 2018Rassegna Stampa

Welfare e Millenials: su l’Economia del Corriere della Sera si parla di Welfare e della ricerca condotta da Jointly su oltre 3200 dipendenti under 35. Rispetto alle altre generazioni, quella dei Millennials oltre ad essere attivamente coinvolta nella fruizione dei servizi condivide una rappresentazione di welfare innovativa, non solo legata al mero guadagno economico, ma strettamente ancorata al benessere lavorativo e al miglioramento del clima aziendale.

di Luisa Adani* 

Il welfare piace e convince sempre di più le aziende: una su due lo implementa, in particolare il 77,5% delle grandi realtà, il 35% delle piccole e il 55,6% delle medie. Nelle piccole, inizialmente ai margini del processo, cresce anche la propensione a farlo in un prossimo futuro e il 62,5% lo farà in due anni. Si aggiunga un dato: solo il 2,5% delle imprese dichiara che non intende sviluppare progetti (dati OD&M Consulting Gi Group, quinto rapporto Rapporto Welfare e secondo rapporto Wellbeing su un campione rappresentativo di 161 aziende e 516 lavoratori).

In questo scenario di sviluppo, resta una questione importante da affrontare. I piani di welfare aziendale, che sulla carta sembrano un buono strumento per offrire ai collaboratori una busta paga di fatto più ricca, non sono così tanto apprezzati dai diretti interessati, che preferiscono un importo anche minore rispetto al valore d’uso dei beni/servizi proposti, purché sia direttamente in euro. Ciò nonostante, conti alla mano, è chiaro che il welfare è un’operazione con due vincitori, le persone e l’azienda. Le imprese valorizzano l’importo stanziato, libero da imposizioni fiscali e oneri, grazie a convenzioni rese interessanti dal potere contrattuale di accordi non individuali; i collaboratori accrescono il valore del contratto sottoscritto con il datore. La ragione della bassa adesione riguarda solo marginalmente il paniere dei servizi offerti.

Coinvolgimento

Nella comunicazione, però, qualcosa non va. La questione non è da poco e corre il rischio di far franare un impianto potenzialmente efficace. Da diversi osservatori infatti risulta chiara l’equivalenza: più welfare, più coinvolgimento, più efficacia. Secondo Welfare Index Pmi (promosso da Generali Italia con la partecipazione delle maggiori confederazioni italiane e che in tre anni ha osservato dieci mila realtà fra i 10 e i 1.000 dipendenti) le politiche di welfare impattano infatti direttamente sulla produttività, sulla reputazione aziendale, sulla soddisfazione dei lavoratori e sulla loro fidelizzazione. E c’è di più: i benefici prodotti crescono in modo più che esponenziale nel momento in cui le aziende superano la soglia delle sei iniziative proposte. Il riflesso sulla produttività passa dal 30,8% al 63,5%; il clima aziendale migliora dal 40,9% al 73%, la reputazione aziendale dal 39,8% al 71,4% e l’affezione dei collaboratori dal 37,5 al 69,2%. «Se il 50% dei dipendenti non aderiscono al piano o non convertono più del 30% dell’importo, è evidente che vi è un problema nel comunicare la convenienza di qualcosa che è davvero conveniente — commenta Alessandro Zollo, ceo di Great Place to Work—. Non si tratta solo di soddisfazione dei dipendenti, ma anche di reputazione aziendale. È riscontrato infatti che un buon pacchetto di benefit fa preferire una azienda rispetto a un’altra ed è un ottimo strumento di retention. I difetti nella comunicazione sono di ordine diverso: organizzativi, sui contenuti, sul meccanismo per accedere ai beni».

A questo proposito, una ricerca appena rilasciata da Jointly, startup per la condivisione dei servizi di welfare, in partnership con l’università Cattolica di Milano su un campione di 3.200 dipendenti, sottolinea quanto le nuove generazioni rispetto alle precedenti siano estremamente attente alla salvaguardia del loro tempo extra professionale.

Per loro un buon pacchetto di welfare deve contemplare temi di flessibilità, prevedere lo smart working e incontrare le loro esigenze di formazione, benessere e di svago.

Di tutti questo si parlerà in maniera approfondita al convegno «Welfare che fare – Il bilancio della riforma. Le potenzialità di un nuovo mercato», organizzato da L’Economia lunedì 1 ottobre.
Anche portando esempi concreti. Come quello della multiutility Hera, che ha un paniere molto articolato di benefit (salute, assistenza sanitaria, assicurazione e previdenza, sostegno all’istruzione dei figli e al reddito). «Il nostro impegno si fonda sulla convinzione che ogni società debba avere a cuore il benessere individuale e familiare delle proprie persone sotto il profilo economico e sociale», commenta il presidente esecutivo, Tomaso Tommasi di Vignano.

 

*Il seguente articolo è stato pubblicato su L’Economia – Corriere della Sera e ripreso da Jointy.pro, il 24 settembre 2018

RSS
Follow by Email
Twitter
Visit Us
Follow Me
LinkedIn
Share

Categorie

Tweets