di Claudia Marin

IL POTERE d’acquisto dei lavoratori italiani tiene anche grazie all’effetto del welfare aziendale e dei benefit in busta paga. È una delle novità principali del Rapporto sulle Retribuzioni in Italia elaborato da OD&M Consulting, società di Gi Group, sulla scorta di un database di oltre 400.000 lavoratori del settore privato. Se oltre al salario si valorizzano i benefit o servizi di welfare aziendale, la retribuzione totale dei lavoratori aumenta, a seconda della categoria, dal 18 al 21 per cento. Non è un caso,dunque, che Emmanuele Massagli, uno dei principali esperti del settore, da poco nominato Presidente di Aiwa, l’Associazione delle imprese di welfare, osservi che «le novità introdotte con le leggi di stabilità 2016 e 2017, nonché il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, sono state le molle che hanno permesso al welfare aziendale di diventare una soluzione realmente diffusa tra le imprese e in costante crescita. In due anni, comprendendo anche il welfare cosiddetto di produttività, i piani attivi sono almeno decuplicati».

E COSÌ se fino al 2015 quando si parlava di welfare contrattuale o negoziale si faceva riferimento quasi esclusivamente alla previdenza e alla sanità integrative, dallo scorso anno, per effetto delle detassazioni, si sono rapidamente diffuse forme di welfare a livello aziendale che comprendono servizi e prestazioni di vario genere. Si va dagli abbonamenti per le palestre a quelli per i centri estetici o per i teatri e i cinema, dal rimborso dei campus estivi per i figli dei dipendenti ai voucher per le lezioni private, dai viaggi ai corsi di cucina e di lingue, dalle assicurazioni per LTC (Long Term Care) ai buoni shopping e benzina, dai servizi di badantato e baby sitter al pagamento degli asili nido.

UNA RIVOLUZIONE silenziosa, ma dagli effetti consistenti. E lo si scopre anche dai numeri in gioco. Da maggio 2016 a maggio 2017, secondo i numeri di Aiwa, sono 4.853 i contratti aziendali che contemplano misure di welfare cosiddetto di produttività. Per il welfare cosiddetto on top (erogato in forma volontaria o obbligatoria senza essere alimentato dalle risorse del premio di produttività), sempre secondo Aiwa, si stima che il 40 per cento delle imprese italiane ha attivato almeno un servizio: previdenza complementare e assistenza sanitaria sono largamente le soluzioni preferite; seguono le misure per l’educazione e l’istruzione dei figli. Molto apprezzate anche le soluzioni che sostengono il reddito dei dipendenti come le carte spesa o carburante di importo inferiore a 258 euro anno, mentre il welfare ricreativo (palestra, viaggi, cinema…) è in crescita nelle grandi città, ma ancora ultimo per scelta. A livello di diffusione, questo tipo di interventi è più presente nelle imprese grandi: nel 35% delle strutture con oltre 100 dipendenti i servizi offerti sono almeno 10, ma tutti i principali contratti rinnovati negli ultimi due anni hanno comportato un incremento del welfare. Non a caso gli operatori di questo nuovo mercato sono arrivati a quota 80, anche se i primi 15 coprono oltre il 90 per cento del comparto.

MA PERCHÉ il welfare aziendale conviene a lavoratori e imprese? Grazie a un cuneo fiscale favorevole – spiega Massagli – 1.000 euro erogati sotto forma di servizi alla persona valgono 1.000 euro netti per il dipendente e costano1.000 euro all’azienda. Un’erogazione monetaria dello stesso importo costerebbe 1.400 euro all’azienda a fronte di un netto al dipendente pari a 600 euro. «Oltre alla componente variabile stanno assumendo importanza i piani di welfare e i benefit che le aziende forniscono ai dipendenti e che diventano una componente della retribuzione», osserva Simonetta Cavasin, ceo di OD&M Consulting. Considerando un valore medio lordo per i piani di welfare, auto e cellulare, sanità, previdenza e polizze integrative, il mix può arrivare a 22.500 euro per dirigenti, 12.600 euro per quadri, 5.650 euro per impiegati.

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