Buoni pasto, scatta il tetto alle commissioni. Cosa cambia per i ticket e per chi li usa
Scatta il tetto al 5% delle commissioni che regolano i contratti tra le società che emettono i buoni pasto e gli esercizi commerciali (bar, supermercati, ristoranti) convenzionati. Dal 1° settembre entra a pieno in vigore la previsione della legge sulla Concorrenza del dicembre scorso, che estende al settore privato la formula già prevista per il pubblico e adottata nelle gare Consip.
Cosa riguarda il tetto
L’applicazione del tetto non riguarda il buono pasto che molti lavoratori hanno in tasca, sempre più in formato digitale. Non cambia, in sostanza, il valore facciale esentasse fino a 4 (cartaceo) o 8 euro (elettronico).
Si tratta infatti di una disposizione che regola il rapporto tra società emettitrice ed esercizio commerciale convenzionato, di fatto fissando un limite al costo che quest’ultimo deve – in forma di commissione – per entrare nella rete dei ticket. Ciò non toglie che sia una piccola rivoluzione per il settore.
Le regole
La norma ha previsto un ingresso graduale del tetto: fino al 31 agosto c’è tempo per recepire il tetto al 5% nei contratti già esistenti tra società emettitrici ed esercizi convenzionati (170mila imprese); mentre nei nuovi contratti siglati tra l’entrata in vigore della norma e settembre il tetto doveva già essere previsto.
I buoni pasto emessi fino al 31 agosto e con le regole precedenti (senza tetto) sono validi fino al 31 dicembre, mentre dal 1° gennaio 2026 verranno applicate in ogni caso le commissioni con soglia massima al 5%.
Gli effetti
Il settore, secondo l’Anseb che associa le società che emettono i ticket, muove ormai oltre 4 miliardi (+5% nel 2023) considerando il valore facciale dei buoni. Si parla di 3 milioni e mezzo di lavoratori coinvolti (2,8 milioni nel privato e 700mila nel pubblico) con 170mila esercizi convenzionati, in gran parte piccole e medie imprese.
“Rischio taglio buoni pasto” L’Anseb ha rimarcato che il tetto “determina nuovi costi in particolare per le aziende che acquistano il servizio sostitutivo di mensa aziendale per i propri collaboratori” .
I buoni pasto vengono infatti “venduti” dalle società specializzate alle aziende con uno “sconto” sul valore facciale. Questo sconto viene poi recuperato attraverso le commissioni applicati agli esercenti e vendendo loro servizi aggiuntivi.
“Il blocco dei prezzi configurerà un aggravio dei costi per le imprese che acquistano i buoni pasto per i propri dipendenti”, ha sostenuto l‘Anseb. Di quanto? “Con un tetto alle commissioni del 5%, le aziende clienti potrebbero riscontrare maggiori costi almeno per un 6% (differenziale tra l’attuale media commissionale e le future medie), stimabili in 180 milioni annui” .
Secondo le società emettitrici, che si rifanno ai dati Aidp (l’associazione dei direttori del personale) questi aggravi porteranno a “tagli e rimodulazioni delle risorse del welfare aziendale” in due aziende su tre.
Tra i tagli, ci sarebbe (ma solo per il 15% dei direttori del personale) anche il rischio di ridurre il valore facciale del buono pasto, che è oggi in media a 6,75 euro.
Gli esercenti: “Ora mercato più sano”
La pensa diversamente la Fipe Confcommercio, la Federazione dei pubblici esercizi. Luciano Sbraga, vice direttore e responsabile dell’ufficio studi, parla di una “valutazione più che positiva” della norma. Per diversi motivi:
“Si evita uno squilibrio tra mercato privato e pubblico: il rischio era che le società dei ticket compensassero le mancate commissioni incassate dalle Pa (dove già vige il tetto del 5%, ndr ) nelle convenzioni con il privato”. Quanto alla revisione dei contratti tra società di emissione e aziende, con l’allarme sugli extra costi che verranno scaricati sul welfare, per Sbraga “non dobbiamo dimenticare che i ticket sono deducibili interamente dal reddito d’impresa ed esenti dai contributi, mentre i lavoratori non versano l’Irpef. In passato gli sconti per le aziende erano del 12-15%, nel pubblico siamo arrivati al 21%. Ma quello sconto veniva pagato da qualcuno: cioè gli esercizi convenzionati sui quali veniva ribaltato”. Ora, sostiene Sbraga, “il mercato sarà più sano, i migliori emergeranno in un clima più concorrenziale”. Restano per la Fipe importanti avvertenze per gli esercenti: “Il 5% di commissione remunera tutta la gestione del buono pasto: il Pos, così come i sistemi per incassarlo. Non devono essere applicati costi aggiuntivi”.
La Federazione ha denunciato operatori che propongono Pos unici in grado di “leggere” diversi buoni pasto, a fronte di costi fissi e ricorrenti: invita le imprese a non firmare questi accordi, ma a chiedere alle società emettitrici di fornire strumenti per accettare i buoni pasto senza ulteriori costi oltre il 5%.
*Il seguente articolo è stato pubblicato su Repubblica.it, il 28 agosto 2025