I provider del benessere

da Feb 4, 2020Dicono di noi, Rassegna Stampa

di Paolo Riva*

I piani di welfare aziendale di TreCuori sono usati da più di 50mila lavoratori in tutta Italia. «Da Siracusa a Bolzano. Da Roma a Milano. Da Cortina d’ Ampezzo a Porretta Terme», elenca il direttore Alberto Fraticelli. Oggi, questa società benefit nata nel 2013 in Veneto, serve oltre 2mila aziende, grandi, medie, piccole e micro. A tutte propone di usare il welfare aziendale per accrescere il benessere dei dipendenti, per migliorare la produttività, ma anche per portare il più possibile sul territorio i benefici di questo strumento. E non è una scelta scontata.

Tecnicamente, TreCuori è un provider di welfare aziendale: accompagna le imprese nell’offrire ai loro dipendenti beni o servizi per il benessere personale e famigliare. In pratica, un provider viene pagato da un’ azienda affinché costruisca un piano welfare, trovi delle aziende terze che eroghino i servizi inclusi nel piano e consenta ai lavoratori di usufruirne, spesso attraverso una piattaforma digitale.

Le opzioni sono innumerevoli: dai buoni spesa ai servizi per minori e anziani, dalla previdenza complementare alle attività ricreative. «Il welfare aziendale è un ambito complesso: i provider sono intermediari e facilitatori», spiega Emmanuele Massagli, presidente dell’Associazione Italiana Welfare Aziendale (Aiwa), che è nata nel 2017 e riunisce oggi diciotto dei maggiori provider nazionali. Il mercato nel quale operano, negli ultimi anni, è cresciuto in maniera rapidissima e a tratti disordinata. Il Quarto Rapporto di Percorsi di Secondo welfare indica che «i dipendenti coperti da interventi gestiti dai provider sono quadruplicati, passando da poco meno di mezzo milione nel 2015 a quasi due milioni nel 2018».

Sommati, i budget di welfare a loro disposizione valgono 750 milioni di euro, per una media di 558 euro a testa all’anno che, però, viene utilizzata solo per il 74 per cento. Sono dati che, da un lato, dicono quanto il welfare aziendale riguardi ancora una minoranza dei lavoratori, ma che, dall’altro, ne evidenziano anche le grandi possibilità di crescita. Ed è in tal senso che l’esperienza di TreCuori è particolarmente interessante. Non tanto per i numeri, che sono ancora molto piccoli, quanto per le modalità di intervento.

«Ci rivolgiamo a imprese di tutte le dimensioni, soprattutto piccole, medie e micro, per le quali non è così facile fare welfare aziendale con ricadute positive sul territorio», riprende Fraticelli. «Lavoriamo molto con Pmi, consulenti aziendali e associazioni di categoria: gli erogatori dei servizi inclusi nei nostri piani sono scelti liberamente dai lavoratori, quindi spesso locali». A differenza di molti altri provider, TreCuori non chiede commissioni agli erogatori, che sono (gratuitamente) abilitati all’incasso su richiesta loro o dei lavoratori. Inoltre, TreCuori sostiene il Terzo settore, nel caso in cui un erogatore sceglie di destinare una parte del guadagno ottenuto grazie ai piani welfare a onlus, società sportive, gruppi di volontariato della zona, anch’ essi presenti sulla piattaforma.

Pur avendo un modello peculiare, TreCuori non è l’ unico provider attento al territorio. Secondo il ricercatore di Percorsi di Secondo welfare Valentino Santoni, vi sono anche altri esempi positivi, accomunati da tre azioni specifiche. «Analizzare molto bene i bisogni dei lavoratori: cosa serve loro e cosa il contesto già offre. Scegliere fornitori di qualità, privilegiando quelli del posto, per stimolare l’ economia locale. Accompagnare i lavoratori perché conoscano bene quel che l’ impresa offre». Infine, allargando lo sguardo, per Santoni «è auspicabile che anche i provider entrino a far parte di reti territoriali composte da attori diversi: istituzioni, enti pubblici, enti erogatori, realtà profit e non profit». È il caso della provincia di Lecco, dove TreCuori partecipa a Valoriamo, un ampio progetto che parte dal welfare aziendale per creare opportunità di occupazione e formazione per chi è senza lavoro.

Oppure è il caso di Tradate, in provincia di Varese, dove la cooperativa Cgm ha unificato su una piattaforma digitale tutta l’ offerta di welfare pubblico, territoriale e aziendale. O, ancora, è il caso di un capoluogo di provincia che, grazie alla collaborazione tra un provider e una fondazione bancaria, offrirà presto i servizi di welfare aziendale pensati per i dipendenti di un’ impresa anche ai cittadini seguiti dai servizi sociali del Comune.

Secondo Massagli di Aiwa, «in queste situazioni vincono tutti: le imprese, i lavoratori, le parti sociali e lo Stato». Lo Stato perché ha un maggior gettito fiscale e una più ampia offerta di servizi; le parti sociali perché arricchiscono il welfare territoriale; i lavoratori perché beneficiano direttamente del welfare aziendale; le imprese perché, da un lato, migliorano la produttività e, dall’altro, ottengono quegli sgravi fiscali che sono stati introdotti dalla normativa tra 2016 e 2018 e che sono stati confermati anche dall’ ultima Legge di Bilancio.

Sempre in materia di welfare aziendale, il Governo ha stanziato 74 milioni di euro per nuovi progetti. «Considerato che vi possono accedere tutte le imprese italiane, sono poche risorse – commenta Santoni -. Servirebbero interventi in grado di coinvolgere più aziende».

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Corriere della Sera – Buone Notizie, il 4 febbraio 2020

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