di Emmanuele Massagli*

Nelle scorse settimane il sottosegretario al lavoro Claudio Durigon ha anticipato i contenuti di un disegno di legge dedicato al rilancio della qualità dell’occupazione.

Nello specifico, le misure in discussione riguardano il dimezzamento della aliquota sostitutiva applicata ai premi di produttività concertati a livello aziendale (dal 10% al 5%), l’innalzamento del valore massimo detassabile da 3.000 a 5.000 euro, l’introduzione di una agevolazione fiscale e contributiva nei limiti di 10.000 euro per le somme corrisposte dai datori di lavori ai propri dipendenti affetti da patologie oncologiche e la ricomprensione tra i servizi di welfare da non considerarsi reddito da lavoro (quindi totalmente detassati e decontribuiti) delle spese sostenute per la cura degli animali domestici.

Si tratta di un pacchetto di misure molto interessanti, se confermate.

Il dimezzamento della aliquota sostitutiva riconosciuta alle quote di salario legate a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione misurabili e verificabili, come previsto dalla legge di stabilità 2016, è un ulteriore tentativo di promuovere forme di contrattazione di secondo livello espansive, capaci contemporaneamente di innalzare i livelli dei salari e incrementare la competitività aziendale.

Un possibile effetto negativo di questa misura potrebbe essere la contestuale diminuzione dei lavoratori che optano per la welfarizzazione del premio di produttività, poiché diminuirebbe il vantaggio del welfare aziendale rispetto al riconoscimento monetario. Un rischio percorribile, poiché utile a fare comprendere che la scelta del welfare non può essere soltanto esito di una comparazione di costi, una mera alternativa economica, bensì parte di un disegno più ampio di gestione del personale e attenzione al benessere dei dipendenti.

Si tratta di misure in grado di ancorare ancor più il welfare aziendale alle finalità di natura sociale che ne giustificano il trattamento di vantaggio. È una direzione corretta, che potrebbe essere con ancor più convinzione percorsa permettendo ai dipendenti di cedere tutto o parte del proprio credito a dipendenti che abbiano esigenze di cura proprie o dei propri familiari e di destinare quanto nelle proprie disponibilità ad enti no profit del Terzo Settore, che troverebbe nelle risorse private del welfare aziendale un portentoso (e inaspettato) canale di finanziamento.

Il disegno di legge in discussione potrebbe allora diventare una significativa fase 4.0 del welfare aziendale, indubbiamente l’oggetto delle relazioni industriali e la politica di gestione del personale in maggiore crescita negli ultimi anni.  

 

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Il Resto del Carlino, il 27 maggio 2019

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