Welfare State si ricomincia dalle aziende

da Apr 3, 2019Rassegna Stampa

È nata la stagione dei servizi destinati a integrare le forme tradizionali di assistenza: dalle polizze sanitarie alle forme di sostegno alla formazione per i figli dei dipendenti. Il mercato potrà valere 20 miliardi di euro.

di Marco Barbieri*

Il Censis ha stimato in 21 miliardi il mercato potenziale del welfare aziendale. Non è il solo comparto in cui si sta ridisegnando il sistema della protezione sociale in Italia, nella sua inevitabile evoluzione da Welfare State in Welfare Society, ma si tratta di un segmento che si è fatto più dinamico anche grazie alle recenti normative di vantaggio fiscale introdotte con le leggi di Bilancio e di Stabilità che si sono susseguite dal 2016 in poi.

Va detto che, indipendentemente dalla legislazione vigente, alcune grandi imprese e alcuni imprenditori più illuminati hanno avviato da anni questo processo di investimento “integrativo” sul benessere dei loro dipendenti.

RETRIBUZIONE E NON SOLO

Il punto è che l’elemento della remunerazione non può più essere considerato come il solo fattore distintivo nella scelta dell’occupazione e del mantenimento della relazione tra dipendente e datore di lavoro. Il messaggio nuovo è che nel luogo di lavoro si devono moltiplicare le condizioni di miglior benessere. Così come tra lavoro e vita si deve perseguire il miglior bilanciamento (il cosiddetto “work-life balance”).

Si va dall’offerta di un servizio di mensa – il ticket restaurant è solo una variabile para-monetaria di un servizio che resta tra quelli fondamentali offerti da un’azienda ai suoi dipendenti – al concorso nelle spese dell’asilo nido per i figli, dalla polizza sanitaria integrativa, al sostegno della famiglia nei problemi connessi alle dinamiche di long term care.

Ma quelle che a lungo sono rimaste attività quasi pionieristiche, proprio perché limitate a un esiguo, numericamente, plotone di imprese di dimensioni medio-grandi, oggi sono diventate – o stanno diventando – patrimonio di cultura aziendale anche nel segmento della piccola e media impresa, che rappresenta oltre il 95% delle aziende attive nel nostro Paese. Le Pmi contribuiscono in modo sostanziale alle performance dell’economia italiana: rappresentano il 79% degli occupati, il 69% in termini di fatturato e generano il 50% dell’export manifatturiero. L’artigianato è una componente qualificata per competenze e ruolo nella catena del valore, rappresentando il 25% del totale delle imprese e il 17% in termini di occupazione. L’artigianato è diffuso in pressoché tutti i settori (in particolare nelle costruzioni) e in tutte le aree del Paese. Le imprese artigiane condividono la sfida competitiva di questi anni, che richiede maggiori competenze e formazione. I ritardi in campo formativo tipici del nostro Paese si stanno però attenuando: circa la metà dei lavoratori partecipa oggi a corsi di formazione, contro un quarto di dieci anni fa.

MIGLIORI PERFORMANCE

Un incremento delle performance dei lavoratori può essere perseguito anche attraverso l’offerta di servizi di welfare aziendale, che stanno trovando una diffusione sempre maggiore. A fine 2018, misure di welfare aziendale risultavano presenti nel 46% dei contratti collettivi aziendali e territoriali (su un totale di 16.367 contratti attivi, fonte ministero del Lavoro); nel corrispondente periodo 2017 la percentuale era pari al 31%. Gli stessi lavoratori valutano positivamente la presenza di questa tipologia di iniziative.

Secondo il Censis, nel 2018 il 69% dei lavoratori era favorevole alla conversione di eventuali aumenti retributivi in servizi di welfare, con lievi differenze tra dirigenti (74%), operai (70%) e impiegati (68%). Rispetto al 2017, la quota è aumentata di 9 punti percentuali. I servizi più ricercati riguardano la salute (assistenza sanitaria, visite mediche in azienda) nel 43% dei casi, la famiglia (cura e istruzione dei figli, assistenza per familiari anziani) nel 38% dei casi, il potere d’acquisto (convenzioni, buoni d’acquisto) nel 35% dei casi.

DAI PIONIERI ALLE PMI

La quarta edizione del Welfare Index Pmi promossa da Generali Italia ha aggiornato i dati del settore, indicando ormai nel 50% il tasso di diffusione nelle Pmi italiane di pratiche e di piani di welfare aziendale. Come ha detto Tiziano Treu, presidente del Cnel, stiamo passando «da una fase pionieristica a una fase di welfare aziendale dimassa».

Nel frattempo si vanno moltiplicando le iniziative e le analisi: l’associazione Adapt (che da anni si occupa delle nuove forme di organizzazione del lavoro nelle aziende italiane) ha redatto per Ubi Banca il secondo rapporto “Welfare for People”, dal quale si segnala un incolmabile gap tra offerta e domanda di servizi di welfare: «Un dato ormai acquisito in tutte le economie sviluppate, basti dire che nella sola Italia si prevede che raggiunga i 70 miliardi di euro entro il 2025. E ad essere insufficienti rispetto al fabbisogno sono, in particolare, servizi chiave come l’assistenza sanitaria offerta dal settore pubblico».

 

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Il Messaggero – Dossier, il 2 aprile 2019

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