Welfare aziendale, alimentaristi: intreccio tra famiglia e salute

da Set 16, 2018Rassegna Stampa

di Giorgio Pogliotti, Claudio Tucci*

Con il contratto il settore ha inserito il fondo di assistenza alla maternità, la cassa rischio eredi, Alifond per la pensione integrativa, il Fasa per la sanità.

È sul welfare sociale (previdenza complementare e sanità integrativa) che si indirizza la scelta della gran parte dei 400mila lavoratori dell’industria alimentare.

Il contratto nazionale firmato a febbraio del 2016 (con durata quadriennale) assegna un ruolo importante alla negoziazione di secondo livello, al raggiungimento di accordi aziendali che possano favorire scelte organizzative per far fronte alle sfide competitive e alle diverse esigenze stagionali. «La percentuale di aziende che fanno contrattazione integrativa – racconta Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare – è al 30%, si tratta di un dato elevato in un settore polverizzato come il nostro, dove operano 58mila imprese. Il settore vive di stagionalità ed è caratterizzato da una marcata differenziazione di prodotti. Per rispondere alla richiesta di flessibilità è a livello aziendale che si raggiungono accordi variabili, su parametri diversi, economici, qualitativi, di frequenza lavorativa».

Il contratto ha dato ampio spazio al capitolo sociale, «le risorse umane hanno un valore centrale, considerando che nei prossimi cinque anni Unioncamere stima che serviranno 45mila dipendenti in più, e non è così scontato trovare lavoratori qualificati», continua Scordamaglia.

Strumenti del welfare di settore sono il Fondo sanitario integrativo (Fasa), il Fondo di previdenza complementare Alifond, ed è attiva anche una copertura assicurativa per il rischio vita a favore dei dipendenti delle aziende del comparto, inoltre l’ente bilaterale di settore costituito dalle associazioni datoriali e dai sindacati firmatari del Ccnl, Fai, Flai, Uila, offre servizi e interventi di sostegno al reddito, compresa una integrazione delle indennità contrattuali e di legge per la maternità e la paternità per il periodo di astensione facoltativa post partum.
«Quando una mamma ha un figlio e deve assentarsi, può contare sul fondo di sostegno alla maternità – aggiunge Scordamaglia -. Sono state 1.600 le domande di lavoratrici madri che ricevono mensilmente una cifra pari all’80% dello stipendio netto. Possono fare 30 giorni di congedo a casa, si elimina in questo modo il frazionamento dei permessi nei 6 mesi dei congedi a vantaggio della mamma e dell’organizzazione del lavoro. Per proseguire su questa strada positiva serve però un quadro normativo stabile, evitando ulteriori cambiamenti che generano solo confusione e rendono strutturali gli incentivi per la detassazione e decontribuzione dei premi aziendali».

Nel Ccnl la valorizzazione del welfare contrattuale è attuata anche con interventi per favorire il ricambio generazionale delle aziende e il percorso di uscita del personale: «Ci siamo impegnati a sostenere attraverso una prestazione sociale il reddito dei lavoratori che vengono licenziati – spiega Stefano Mantegazza (Uila) – e ai quali manchino non più di 24 mesi al godimento della pensione e di quelli che trasformano in part-time il tempo pieno per la staffetta generazionale».

Ma vediamo alcune delle best practices aziendali, a partire dal recente accordo integrativo per i circa 6mila lavoratori della Ferrero Italia, che sul piano economico prevede un aumento a regime del 14% del premio variabile, complessivamente 9.210 euro sul quadriennio e una tantum di 50 euro all’anno per i lavoratori che aderiscono ad Alifond, insieme a misure di conciliazione con la vita privata. Aumentano le giornate di permesso per le visite pediatriche dei figli fino a 14 anni, si incrementano i permessi retribuiti al padre per la nascita del figlio e per assistere i genitori o il coniuge in caso di gravi malattie, con il ricorso al part-time per i genitori al rientro dai periodi di astensione obbligatoria fino al 4° anno di vita del bambino.
Passando ad un altro big del settore, il premio di risultato ha mediamente un valore nominale di circa 900 euro lordi e incide circa il 3% sulla Ral per il gruppo Cremonini, con sede a Castelvetro in provincia di Modena (16mila dipendenti nel mondo) e 14 stabilimenti in Italia le cui lavorazioni prevedono l’applicazione del Ccnl dell’alimentare. Il pagamento del Pdr è legato a criteri di investimenti, qualità e presenze, rispettivamente per il 30%, 30% e 40%: «Il Pdr è esclusivamente legato al raggiungimento degli obiettivi sopra citati – spiega Roberta Ebaldi Hr director del gruppo Cremonini – circa il 4% non ha avuto nulla, l’80 ha superato i 600 euro lordi, il 15% ha avuto il premio nominale massimo».

In tema di welfare contrattuale, il Ccnl alimentare, ha inserito novità di spessore, come il fondo Alifond (pensione integrativa), il fondo cassa rischio vita per eredi, il fondo Fasa per la sanità integrativa, che prevede l’estensione delle prestazioni a coloro che hanno perso il lavoro per riorganizzazione aziendale, il fondo di sostegno alla maternità che assegna un’integrazione al 50% del salario per l’astensione facoltativa. Per Colavita, due stabilimenti in Italia con 60 dipendenti, il premio di risultato ha un massimo di 1.926 euro nel 2018, il tetto salirà a 1.985 euro nel 2019 e a 2.015 euro nel 2020, una percentuale pari a circa il 6% della retribuzione di un dipendente. «Il premio è composto da due elementi: risultato aziendale e percentuale di assenteismo – spiega l’Hr manager Renzo Casagrande -. Tutti hanno avuto il premio, pur in percentuali diverse, mentre non è prevista la possibilità di sostituire il Pdr con prestazioni di welfare aziendale. Abbiamo invece una assegnazione mensile fissa di prodotti aziendali, del valore medio di 50 euro al mese e un ticket restaurant giornaliero del valore di 8 euro».

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 12 Settembre 2018

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