«Parità di genere, certificato esteso a tutte le imprese»

da Mar 8, 2022Studi e approfondimenti

È un 8 marzo particolare, un 8 marzo di guerra, ministra Bonetti.

Sì, è un 8 marzo nel quale ha fatto irruzione in Europa la guerra, quella guerra che la nostra generazione ha avuto fin qui la fortuna di non aver conosciuto. Questa tragedia ci impone uno spirito di profonda coesione europea nello sforzo per ristabilire la pace e il diritto internazionale. Le donne e i bambini, come sempre, sono le vittime silenziose. Qui mi sento di dire che dobbiamo essere al fianco delle nostre sorelle ucraine, che prioritariamente stanno fuggendo dalla guerra con i loro figli, per creare percorsi di accoglienza che le facciano sentire a casa.


Lo smart working è la grande novità del mondo del lavoro. Ma per le donne non rischia di essere una trappola?

Sì. Lo smart working è stato un’ ancora di salvezza per il mondo del lavoro durante il lockdown ma ha dei rischi e limiti evidenti se non è progettato all’ interno di una rivisitazione dei tempi e degli spazi di lavoro, dei trasporti urbani e del supporto tecnologico necessario.

Come ministero abbiamo lavorato ad un’indagine che ha coinvolto 60 realtà imprenditoriali. Se da una parte lo smart working è un’opportunità per armonizzare i tempi del lavoro e della vita familiare e personale, il limite forte per quanto riguarda le donne è appunto il rischio trappola, come è stato durante il lockdown, quando è stata sospesa l’erogazione di servizi, tra cui quelli di welfare aziendale.

Va ribadito che lo smart working non è una forma di lavoro dedicata alle donne per dare loro più tempo da dedicare ai carichi familiari.

Ma è uno strumento per tutti i lavoratori per meglio integrare vita lavorativa e vita privata, che non è solo cura della famiglia ma anche tempo libero, compreso l’ impegno civile e politico se si vuole. Per questo il lavoro agile va sempre affiancato da percorsi in presenza. Non deve diventare un ghetto per le donne, una forma di part time camuffato, e deve essere pienamente valutato rispetto alle prospettive di carriera: non deve inibire cioè passaggi di avanzamento.

Lo smart working necessita anche di adeguato welfare aziendale che comprenda sostegni alla genitorialità, i servizi alla famiglia e alle persone non autosufficienti in integrazione con le strutture territoriali. Accanto a questo si possono anche affiancare forme innovative di co-working integrate con servizi in condivisione.

Per il lavoro agile occorre una normazione nazionale o di secondo livello?


Una cornice di tutela e valorizzazione in ambito nazionale è necessaria, e il ministero del Lavoro se ne è occupato con sindacati e datori di lavoro. Io sono anche dell’avviso che la contrattazione di secondo livello vada implementata, anche quando si tratta di lavoro agile. Il lavoro per obiettivi, la valorizzazione delle capacità e le esigenze di ciascuno vanno pienamente armonizzati. Tenendo presente che lo smart working integrale è stato un’ esperienza in parte fallimentare: il lavoro nella totale solitudine è alienante, il modello da seguire è quello dell’integrazione.

Donne e lavoro: questo 8 marzo ci consegna una fotografia ancora lontana da quella europea. Il Family act ha introdotto importanti novità come le quote di assunzione per giovani e donne nell’ ambito dei progetti Pnrr. Basterà?

Il concetto di fondo è che se vogliamo crescere di più occorre aumentare l’occupazione femminile. È l’obiettivo che con il presidente Draghi stiamo perseguendo attraverso la Strategia nazionale per la parità di genere. È certificato che il Pil cresce se cresce il numero delle lavoratrici, alcune proiezioni parlano di un aumento di 8/10 punti. Dobbiamo valorizzare il talento delle donne su cui si è investito.

Le ragazze sono più brillanti dei ragazzi nel percorso universitario, ad esempio, ma una volta laureate vengono assunte meno e quando assunte sono pagate meno dei loro colleghi. Oltre ad essere profondamente ingiusto, è anche un fallimento dell’investimento pubblico sulla loro formazione. Per quanto riguarda il dato sull’occupazione femminile cominciamo a registrare un’inversione di tendenza: mentre sono state soprattutto le donne a perdere il lavoro nei mesi peggiori della pandemia, a dicembre 2021 l’occupazione femminile è risalita al 50,5%, il livello massimo nella storia del Paese. Ma è una percentuale ancora lontana dalla media europea, che supera il 65%. Con il Pnrr abbiamo fatto un passo avanti importante: per la prima volta le aziende che vogliono usufruire dei fondi pubblici – perché tali sono i circa 200 miliardi del Pnrr – devono garantire condizionalità per quanto riguarda il lavoro femminile.

Nel Pnrr stabiliamo che le aziende con più di 15 dipendenti che ottengono finanziamenti debbano rendicontare ai sensi del Codice delle pari opportunità (parità di trattamento per quanto riguarda salario, investimenti e opportunità di carriera) e soddisfare la condizionalità rispetto alle nuove assunzioni, il 30% almeno delle quali da riservare a giovani e donne. La mia proposta è che la premialità per le imprese che otterranno la certificazione per la parità di genere sia estesa a tutti gli appalti.

Si vuole dunque modificare il codice degli appalti per inserire la certificazione della parità di genere?

 

Sì, va inserita una premialità per chi promuove pari opportunità. Intanto abbiamo voluto introdurre un emendamento sulle concessioni demaniali in questa direzione. La certificazione porterà anche vantaggi fiscali.

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Il Sole 24 Ore, l’8 marzo 2020

 

RSS
Follow by Email
Twitter
Visit Us
Follow Me
LinkedIn
Share

Categorie

Tweets