Welfare aziendale e pandemia, un resoconto di tutte le novità normative

da Lug 7, 2021Studi e approfondimenti

Tra il 2020 e il 2021 il Legislatore e l’Agenzia delle Entrate sono intervenuti in più casi per introdurre alcune modifiche sulle norme fiscali che regolano beni e servizi di welfare per i lavoratori.

di Valentino Santoni*

 

Soprattutto allo scopo di sostenere le imprese che scelgono di investire nel welfare, nel corso del 2020 e del 2021 il Legislatore e l’Agenzia delle Entrate sono intervenuti in più casi per apportare delle modifiche alla normativa che regola il welfare aziendale. In particolare, negli ultimi mesi sono state fatte delle modifiche per ricomprendere nuovi beni e servizi all’interno del paniere delineato dalle regole fiscali, con l’intento di rispondere ai nuovi bisogni sociali dei lavoratori a seguito della pandemia.

Di seguito descriviamo le novità più rilevanti, partendo da quelle più recenti.

Il rimborso degli strumenti per la didattica a distanza

Lo scorso 27 maggio 2021 l’Agenzia delle Entrate, attraverso la risoluzione 37/E, ha confermato la possibilità per l’azienda di godere dei benefici fiscali previsti dall’articolo 51 del TUIR (comma 2, lettera f-bis) per il rimborso erogato al dipendente per l’acquisto di pc, laptop e tablet per la didattica a distanza (DaD) dei figli. Inoltre, lo stesso interpello chiarisce che queste spese non concorrono a costituire reddito imponibile neanche nel caso in cui i device per la DaD siano acquistati tramite voucher welfare.

Come spiega la stessa Agenzia delle Entrate, questa scelta dipende dal fatto che “le somme e prestazioni che hanno finalità di educazione e istruzione non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, anche alla luce delle novità introdotte dalla legge di Stabilità per il 2016, che ha ampliato e meglio definito i servizi di educazione e istruzione (articolo 51, comma 2, lettera f e f-bis Tuir) fruibili dai familiari del dipendente”.

Tale novità è particolarmente interessante perché mette in luce come attraverso il welfare aziendale si possano trovare risposte ai nuovi bisogni generati dall’emergenza sanitaria. Secondo il Rapporto BES 2020 dell’Istat , infatti, l’8% dei circa 8 milioni di studenti delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza. Come evidenziato anche da un recente articolo di Maria Sole Ferrieri Caputi e Emmanuele Massagli per il Bollettino ADAPT, tramite l’intervento delle imprese queste situazioni possono essere quantomeno mitigate.

Il “raddoppio” dei fringe benefit

Come vi abbiamo raccontato qui, lo scorso 20 maggio la Camera ha approvato il cosiddetto Decreto Sostegni al cui interno c’è una norma (inserita nell’articolo 6-quinquies) che raddoppia il limite della soglia dei cosiddetti fringe benefit. In questo modo le imprese potranno destinare ai propri dipendenti – fino al 31 dicembre 2021 – una serie di servizi di welfare aziendale per un valore massimo di 516,46 euro, il doppio rispetto ai 258,23 euro previsti dalla normativa, totalmente esenti da tassazioni.

Come spesso ricordato, i fringe benefit riguardano una vasta gamma di servizi e soluzioni che godono di specifici benefici fiscali secondo quanto previsto dalla normativa. Tra le formule più comuni ci sono: card acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online), buoni benzina, beni e servizi connessi allo sviluppo della mobilità sostenibile, come previsto dall’interpello 293/2020 dell’Agenzia delle Entrate, polizze assicurative.

La scelta di raddoppiare la soglia di questi benefit era già stata fatta lo scorso anno, attraverso il cosiddetto Decreto Agosto (DL 14 agosto 2020, n. 104). Anche in quel caso il provvedimento ha avuto validità fino al 31 dicembre del 2020.

Oltre che facilitare le imprese nell’introduzione del welfare, attraverso questi interventi si è cercato di sostenere economicamente i lavoratori e dare una spinta ai consumi. In generale, infatti, le cifre che i datori di lavoro destinano al welfare aziendale vanno ad integrare la normale retribuzione ma, rispetto a quest’ultima, hanno un impatto economico maggiore (grazie ai benefici fiscali) e non possono “andare a risparmio”: devono perciò essere spese dai lavoratori entro l’anno fiscale di riferimento (o comunque nel successivo, come spiegheremo in seguito).

Secondo recenti stime fatte da The European House – Ambrosetti, pur avendo un costo per l’Erario, questa misura permetterebbe di generare consumi aggiuntivi per una cifra che oscilla tra i 1,6 miliardi e i 4,1 miliardi l’anno. Per lo Stato l’impatto sui volumi di IVA aggiuntivi recuperabili sarebbe stimabile tra i 346 milioni di euro e i 547 milioni di euro in un anno.

La gestione dei “residui”

Ad aprile, attraverso la Risposta 311/2021, l’Agenzia delle Entrate ha invece chiarito un aspetto interessante riguardante i cosiddetti “residui”. Con questo termine si fa riferimento a quella porzione del premio welfare che non viene spesa dal lavoratore nell’arco temporale di vita del piano. Si tratta di una tematica importante perché, come vi abbiamo spiegato qui, in media circa il 25% del conto welfare non viene utilizzato.

Prima di questo intervento le modalità più comuni nella gestione della parte “in avanzo” del budget welfare erano limitate. Tendenzialmente, la maggior parte delle imprese invitava i propri collaboratori a destinare i valori residui a una forma specifica di welfare “collettivo” (come il fondo di previdenza complementare o di sanità integrativa, o il CRAL aziendale). Se invece il premio welfare è frutto della conversione del Premio di Risultato, era (ed è ancora) possibile fruire di questa somma in denaro (in questo caso è però necessario applicare la dovuta tassazione).

Proprio al fine di ampliare le possibilità del lavoratore, l’Agenzia ha quindi deciso di garantire la cumulabilità dei residui non spesi con il budget individuale dell’anno (o comunque del “periodo”) successivo. Nel caso di mancato utilizzo, in tutto o in parte, del credito welfare maturato nel primo anno, si legge, “il lavoratore può cumulare tale credito con quanto maturato nel secondo anno, vale a dire nel limite temporale di validità del piano, e a condizione che tali somme non siano in ogni caso convertibili in denaro”.

Le novità in merito alla conversione dei Premi di Risultato (PdR)

A causa delle conseguenze economiche legate alla pandemia, per il 2021 erano (e in parte sono ancora) previste conseguenze negative in termini di erogazione dei Premi di Risultati. Data la ridotta produttività nel 2020 – causata soprattutto dal periodo di lockdown – per molte imprese è stato infatti impossibile raggiungere i target previsti dai contratti e necessari per erogare i premi, sia in denaro sia in welfare (tramite conversione totale o parziale del premio).

Anche per questo l’Agenzia delle Entrate ha realizzato svariati interventi in materia, ad esempio attraverso le Risposte del 20 aprile 2021 n. 270, del 17 marzo 2021 n. 176, e del 26 giugno 2020 n. 36/E, ma anche in parte la Risoluzione n. 55/E.

Attraverso questi documenti l’Agenzia ha voluto assicurare l’imposta agevolata e la detassazione per i lavoratori dei Premi di Risultato in cui gli incrementi siano stati ridefiniti a causa delle difficoltà della pandemia da Covid-19. Per la ridefinizione degli obiettivi è comunque necessario un accordo sottoscritto tra le parti sociali.

Le assicurazioni in caso di positività al Covid-19

Infine, ci sembra rilevante ricordare anche la Circolare n. 8/E dell’Agenzia delle Entrate che, tra le altre cose, prevede che le imprese possano introdurre formule assicurative destinate ai dipendenti per l’infezione da Covid-19 all’interno di piani di welfare aziendale.

In questo caso è stato chiarito che tali assicurazioni possono rientrare all’interno degli strumenti previsti dal comma 2, lettera f-quater, dell’articolo 51 del TUIR, cioè quei “contributi e premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana”.

Il welfare aziendale e il ruolo della normativa fiscale

Come visto dunque gli interventi regolativi nel campo del welfare aziendale sono stati molteplici. Appare evidente come il Legislatore stia spingendo allo scopo di valorizzare la portata sociale di questi strumenti, soprattutto in un momento in cui i bisogni sociali si acuiscono a causa di un evento imprevisto e imprevedibile come la pandemia.

Tuttavia, la dimensione puramente fiscale della normativa spesso limita il potenziale impatto sociale del welfare aziendale. Come vi abbiamo spiegato in maniera dettagliata nel Position Paper “La valutazione d’impatto sociale come elemento costitutivo dei piani di welfare aziendale” , la mancanza di una definizione chiara, l’elenco dei beni e servizi molto diversi tra loro contenuto nel TUIR e i continui interventi e chiarimenti da parte dell’Agenzia rendono spesso difficoltoso il lavoro degli esperti e delle imprese.

Per questo l’auspicio è che in futuro si possano superare questi limiti, magari ampliando le modalità di erogazione dei servizi (soprattutto quelli destinati ai figli dei dipendenti e ai familiari anziani) e dividendo i “benefit accessori” dalle prestazioni sociali tout court

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Secondowelfare.it, il 7 luglio 2021

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