Regime fiscale dei piani di welfare aziendale: conferme e novità interpretative

da Ott 5, 2020Studi e approfondimenti

di Emmanuele Massagli e Silvia Spattini*

Con la Risoluzione n. 55/E del 25 settembre 2020, l’Agenzia delle Entrate ha compiuto una ricognizione sulle condizioni di applicazione del regime di non concorrenza al reddito di lavoro dipendente di benefit e misure di welfare ai sensi dell’articolo 51, commi 2, 3 e 4 del TUIR e della relativa deducibilità dal reddito di impresa. Perlopiù è stata effettuata una ricostruzione di interpretazioni consolidate; tuttavia, emergono importanti chiarimenti su profili fino a questo momento di incerta applicazione.

La Divisione Contribuenti ha usato un interpello sottopostogli da quella che si deduce essere una media azienda per confezionare una risoluzione molto didattica per finalità e timbro di esposizione. Si tratta dell’intervento di prassi più corposo su questa materia dopo le note circolari 28 del 2016 e 5 del 2018.

L’Agenzia delle Entrate coglie, anzitutto, l’occasione per richiamare i principi che presidiano la formazione del reddito da lavoro dipendente, in particolare il principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente (ai sensi del primo comma dell’art. 51 del TUIR, le erogazioni in denaro e in natura percepite dal dipendente in relazione al rapporto di lavoro costituiscono, in linea generale, redditi imponibili), ricordando che il trattamento fiscale di favore (totale o parziale esenzione) previsto per una serie di opere, servizi, prestazioni e rimborsi spesa costituisce una deroga a tale principio. Non a caso si usa definire il welfare aziendale come l’insieme delle deroghe al principio di onnicomprensività del reddito da lavoro. Eccezioni che si reggono sull’assenza di un animus remunerandi dell’erogazione dei benefit. Infatti, «qualora tali benefit rispondano a finalità retributive (ad esempio, per incentivare la performance del lavoratore o di ben individuati gruppi di lavoratori), il regime di totale o parziale esenzione non può trovare applicazione».

Viene inoltre ribadito il principio di infungibilità tra retribuzione e welfare, chiarendo che non è conforme alle disposizioni vigenti una erogazione di misure di welfare «in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile dei lavoratori» (tranne l’ipotesi espressamente disciplinata della welfarizzazione del premio di risultato) e che misure di welfare destinate ai lavoratori in cambio della rinuncia a un premio in denaro assumono «rilevanza reddituale».

L’Agenza delle Entrate conferma il regime di esenzione anche «nell’ipotesi in cui tali beni e servizi siano erogati a titolo premiale, ovvero per gratificare i lavoratori del raggiungimento di un obiettivo aziendale», ritenendo «prevalente l’aspetto di fidelizzazione». Tuttavia, il riconoscimento di misure di welfare o la loro graduazione non devono basarsi su «valutazioni strettamente connesse alla prestazione lavorativa» sia individuale sia collettiva, escludendo anche un riconoscimento delle misure di welfare collegato alle presenze o assenze dei lavoratori in azienda. In sostanza, l’Agenzia riconosce una funziona premiale dell’erogazione quando collegata a obiettivi aziendali, ma non subordinata ai risultati delle performance individuali dei lavoratori.

È una interpretazione che ha già generato discussione tra gli addetti ai lavori. Come ADAPT, abbiamo sempre argomentato nella direzione della impossibilità di considerare genuino un piano di welfare modulato su indicatori individuali (si veda  E. Massagli, S. Spattini, M. Tiraboschi, Fare welfare in azienda, ADAPT University Press, 2018). Più in generale, risulta contradditoria rispetto alla norma la stessa espressione “welfare premiale”, pure molto diffusa. In punta di diritto non pare quindi discutibile il ragionamento di fondo della Agenzia: un piano di welfare vincolato al raggiungimento di risultati individuali (ad esempio il fatturato generato) o a indicatori di perfomance misurabili per il singolo (ad esempio il numero di presenze) altro non è che un premio mascherato e quindi, come tutti i premi, da considerarsi reddito da lavoro. Diverso il discorso del legame con un indicatore collettivo, decisamente meno incentivante per il singolo lavoratore e molto più connesso ad una verifica di capienza economica per poter erogare il piano (che non viene attivato quando i risultati aziendali non lo permettono).

A poco servono i richiami alla risposta ad interpello 904-791/2017 della Direzione Regionale lombarda, l’atto di prassi che, accettando il legame tra erogazione del welfare e indicatore individuale, ha “dato il la” a numerose esperienze che, se replicate, potrebbero generare danni a questo nuovo istituto, più che vantaggi, per la notevole ambiguità delle loro finalità. Con la Risoluzione n. 55, pur senza citarla, l’Agenzia ha voluto esplicitamente correggere quanto sostenuto dalla sua direzione territoriale tre anni prima.

Con l’occasione, l’Agenzia delle Entrate puntualizza anche alcune condizioni, invero già ampiamente note, per la non concorrenza al reddito di diverse misure di welfare.

Per esempio, ricorda che il regime di non concorrenza al reddito di lavoro dipendente delle opere e dei servizi aventi finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto offerti dal datore di lavoro ai dipendenti e ai familiari di cui alla lettera f) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR non è applicabile anche a eventuali somme di denaro erogate ai dipendenti a titolo di rimborso spese anche se per opere e servizi con le medesime finalità.

Rispetto a tale categoria di misure di welfare, nel caso in cui le opere ed i servizi non siano messi a disposizione direttamente dal datore, ma da strutture esterne all’azienda, affinché si applichi il regime di fiscale di favore, è necessario che «il dipendente resti estraneo al rapporto economico che intercorre tra l’azienda e il terzo erogatore del servizio». Quindi, al lavoratore deve soltanto essere riconosciuta la possibilità di aderire o non all’offerta proposta «senza pertanto poter pattuire altri aspetti relativi alla fruizione dell’opera e/o del servizio, fatto salvo il momento di utilizzo del benefit». Questa precisazione rileva in particolare per i viaggi, rispetto ai quali, per la non imponibilità, non si ammette la possibilità della costruzione di un viaggio su misura per il lavoratore, ma soltanto la possibilità di aderire a un viaggio “preconfezionato”. 

Anche questa posizione della Agenzia era piuttosto nota tra gli addetti ai lavori, ma non ci si aspettava un chiarimento così netto. L’argomentazione, seppure comprensibile, può risultare foriera di effetti probabilmente non voluti da chi ha steso l’atto. Il primo è uno svantaggio dei fornitori territoriali, certamente meno in grado di standardizzare la loro offerta attraverso pacchetti e quindi potenzialmente superati dai grandi gruppi nazionali, a tutto discapito delle offerte di welfare più radicate sui territori nonché della eterogeneità complessiva del mercato e della concorrenza. Il secondo aspetto sono le possibili conseguenze di un ragionamento così centrato sulla equivalenza “personalizzazione = coinvolgimento nello scambio economico”. È un assunto che rischia di modificare molte delle offerte di servizi rientranti nella lettera f), senza alcun vantaggio per i beneficiari dei piani di welfare (i lavoratori!) né per i conti dello Stato, che non subiscono alcun danno da una interpretazione meno restrittiva di quella ora fornita.

A differenza della lettera f), nell’ambito delle lettere f-bis) e f-ter), non concorrono a formare il reddito del dipendente anche i rimborsi spesa relativi a servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare (f-bis) usufruiti da familiari del dipendente e a servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti. Rispetto alla documentazione richiesta a giustificazione dei rimborsi spesa, si fa presente che «nella documentazione comprovante l’utilizzo delle somme deve essere indicato il soggetto che ha fruito del servizio o della prestazione e la tipologia di servizio o prestazione erogata per verificare che l’utilizzo delle somme sia coerente con le finalità indicate dalla norma».

Di particolare rilievo risulta il chiarimento relativo all’intestazione del documento di spesa e alle modalità del pagamento. Si specifica che per i rimborsi ammessi delle lettere f-bis) e f-ter), il documento di spesa può essere intestato al dipendente o al familiare che ha fruito del servizio (fermo restando l’indicazione nel documento del fruitore del servizio). Con riferimento al pagamento, non è necessario che si dimostri che è stato effettuato dal dipendente, ammettendosi qui che non soltanto il documento, ma anche il pagamento possa essere effettuato dal familiare beneficiario del servizio (situazione che può verificarsi in particolare con riferimento alle prestazioni e servizi di cui alla lettera f-ter). 

Sul fronte della deducibilità ai fini IRES dei costi sostenuti dal datore di lavoro per l’erogazione delle misure di welfare, si ribadisce che per la deducibilità totale è necessario che il regolamento aziendale risulti «non revocabile né modificabile autonomamente da parte del datore di lavoro». A tal fine, vale l’inserimento nel regolamento aziendale di affermazione di questo tipo: «In quanto atto negoziale, ancorché unilaterale, le erogazioni ivi previste costituiscono una obbligazione nei confronti dei lavoratori». Al contrario, se rimanessero dubbi sulla possibilità del datore di lavoro di modificare unilateralmente e discrezionalmente il regolamento, allora esso corrispondere semplicemente ad un atto unilaterale volontario del datore di lavoro, applicandosi conseguentemente la deducibilità dei costi per il welfare nel limite del 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente.

In sintesi, quindi, l’Agenzia ci ha fornito un agile compendio di teoria e pratica della costruzione di piani di welfare aziendale. Alcuni dubbi permangono, ma è inevitabile anche osservare che la stessa, accresciuta, attenzione della Agenzia verso il welfare aziendale sia prova indiretta della continua crescita di questo istituto, anche in periodo di crisi pandemica ed economica.

*Il seguente articolo è stato pubblicato su Bollettino ADAPT 5 ottobre 2020, n. 36 

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